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Diritto di recesso

Diritto di recesso
Scritto da Venerdì 9 Maggio 2014 in Articoli Legali | Contrattualistica
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PRESTAZIONE D’OPERA » Diritto di recesso
Nel recesso del prestatore d’opera trova applicazione il principio di buona fede oggettiva

In sede di esercizio del diritto di recesso, il prestatore d’opera deve sempre evitare che il cliente subisca il danno derivante dall’improvvisa rottura del rapporto, consentendo a quest’ultimo il tempo necessario per provvedere diversamente agli interessi per i quali è stato stipulato il contratto.

L’art. 2237, comma 3, c.c., a mente del quale “il recesso del prestatore d’opera deve essere esercitato in modo da evitare il pregiudizio al cliente”, è norma diretta ad evitare a quest’ultimo l’eccessivo danno che deriverebbe dall’improvvisa rottura del rapporto, ossia a lasciargli il tempo per provvedere diversamente agli interessi per i quali è stato stipulato il contratto e, in sostanza, costituisce una particolare applicazione del principio di buona fede oggettiva ex art. 1175 e 1375 c.c. in quanto il diritto, pur esistente, è stato esercitato con modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione che, nella specie, doveva essere riferito ad un comportamento che trovava la sua tipizzazione nella norma che impone specificamente di evitare pregiudizio al cliente.

Il principio è stato enunciato dal giudice di legittimità in una recente decisione. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la sentenza con la quale la corte di appello, nel quadro di una serie di prestazioni di consulenza informatica, aveva condannato un prestatore d’opera al pagamento dell’importo di una penale dovuta dalla società cliente ad altra compagine societaria per effetto del recesso esercitato dal prestatore incaricato con modalità tali da arrecare pregiudizio, in quanto privo del tempo necessario per provvedere alla sostituzione. Il giudice del merito, osserva la Cassazione, ha ritenuto provato, sulla base delle prove testimoniali, che il prestatore d’opera fosse a conoscenza della clausola penale pattuita tra le due società per il caso di interruzione delle prestazioni di consulenza informatica e della necessità che la società cliente fosse preavvertita in caso di suo recesso; adempiendo all’obbligo motivazionale, conclude la sentenza in esame, la corte distrettuale ha osservato che i testi avevano riferito di colloqui intercorsi tra il prestatore e responsabili della società committente dai quali era desumibile la conoscenza da parte dell’incaricato della clausola penale e della necessità di rispettare l’obbligo di preavviso in caso di recesso.

Esito del ricorso:

Rigetta, C. App. di Roma, Sent. 13 marzo 2007, n. 1236

 

Riferimenti normativi:

Cod. Civ. art. 2237

Cass. Civ., Sez. II, 23 aprile 2014, n. 9220

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