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Cyberpedofilia: un reato tra realtà e virtualità

Cyberpedofilia: un reato tra realtà e virtualità
Scritto da Giovedì 12 Gennaio 2012 in Articoli Legali
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Lo sviluppo telematico repentino, l’elevatissima capacità di interconnessione nella realtà attuale ha, di fatto, permesso l’annullamento di spazi e distanze rendendo accessibili luoghi, anche remoti, con un semplice gesto della mano. Questa capacità associata ad una miriade di tools e strumenti offre, in maniera estremamente semplice ed agevole, la possibilità di conoscere, parlare, commercializzare in tempo reale di tutto, ovunque e con chiunque. Purtroppo, in questa immensità di possibilità e potenzialità di questo strumento telematico, bisogna inserire anche tutte quelle devianze che fanno parte del vivere quotidiano, in quanto internet è, purtroppo, anche rappresentazione elettronica di quanto è disponibile off-line. In effetti, come scrisse F. Valeriani “Le navigazioni dell’uomo hanno sempre dischiuso per la sua mente, oltre che per i suoi sensi, nuovi orizzonti conoscitivi pieni di rischi ed incognite. Le sue fascinazioni si declinano, in quest’ultimo scorcio di millennio, in forme inedite che attraversano la realtà, l’immaginario e la fiction in un’ansia comunicativa che tradisce talora una sostanziale difficoltà relazionale” [1].
L’enorme diffusione delle reti telematiche, tra tutte internet, sempre più intense come insostituibili strumenti di lavoro e utili momenti di distrazione, ha favorito la nascita di organizzazioni criminali dedite a diversi tipi di attività illecite di carattere trasnazionale [2]. In effetti, le leggi della Rete operano non differentemente dalle leggi del “mondo” attraverso la creazione di vincoli di possibilità: è una Rete dunque in grado di aprire nuovi orizzonti del possibile [3]. Purtroppo la rete telematica ha reso possibile lo sviluppo di una nuova dimensione organizzata della pedofilia collegando pedofili di tutto il mondo e rendendo possibile l’offerta on-line di una serie di servizi illegali, legati allo sfruttamento dei minori, da parte di organizzazioni criminali [4]. Ciò in quanto lo sviluppo delle nuove tecnologie consente di distribuire il materiale illecito con estrema facilità e con costi irrilevanti in rapporto al giro d’affari di un mercato che si presenta già ad un superficiale studio di settore estremamente redditizio [5]: basta una semplice navigazione in rete per potersi rendere facilmente conto che in questa “terra di nessuno” si possono trovare dei siti aberranti che contengono cataloghi di bambini in vendita o in affitto, ritratti in foto mentre vengono sodomizzati oppure obbligati ad avere rapporti con animali. Ma ancora più raccapricciante è la notizia del proliferare del lancio su internet di “snuff-movies”, cioè cassette porno dove ragazzine e ragazzini vengono stuprati, torturati ed uccisi [6]. In quest’ottica per un certo numero di soggetti, l’utilizzo della rete può certamente aver rappresentato l’occasione per un acting-out (legato soprattutto allo scambio di informazioni e alla fruizione di pornografia) che sarebbe stato altresì molto difficoltoso e rischioso, specie se tentato in un contesto extraurbano (ad esempio piccoli centri) e quindi culturalmente più rigido ed aggressivo nei confronti delle perversioni sessuali [7]. Dunque l’utilizzo di canali di diffusione telematica può aver rappresentato una strategia di una minoranza pedofila per raggiungere, attraverso la neutralità della nuova tecnologia, degli obiettivi più generali di legittimazione, cercando di acquistare progressivamente il diritto ad una visibilità che nella nostra epoca le è ancora negata [8].
Ma essere cyberpedofilo è diverso dall’essere pedofilo?
Per capirlo bisogna, innanzitutto, chiarire nel dire che internet altro non è che uno strumento neutro che si trasforma in catalizzatore, attraverso il quale il pedofilo si attiva per ricercare di soddisfare, almeno in maniera primaria e parziale, le proprie pulsioni sessuali. Dunque l’essere pedofilo nasce ancor prima dall’essere un cyberpedofilo.
Non esiste un’età media cui ricondurre il soggetto pedofilo [9]: la persona pedofila è generalmente un individuo maschio adulto attratto da persone molto più giovani di lui, appartenente a qualsiasi classe sociale. Dunque nella pedofilia (che letteralmente significa amore per i bambini (pais = bambino, filia = amore) predomina l’impulso esclusivo o prevalente di relazioni sessuali con fanciulli in età prepubere, dell’uno o dell’altro sesso che diventano oggetto di amore perverso. Quando l’attrazione erotica viene avvertita per giovinetti dopo la pubertà si parla di efebofibia, anch’essa più frequente tra gli individui di sesso maschile, le cui relazioni coi giovani possono trasformarsi in forme omosessuali cronicizzate [10]. Infatti mentre alcuni pedofili focalizzano la loro attenzione su minori del sesso opposto (pedofilia eterosessuale), altri preferiscono minori dello stesso loro genere (pedofilia omosessuale), altri ancora sono eccitati sia dagli uni che dagli altri (pedofilia bisessuale) [11]. Gli elementi fondamentali della cyberpedofilia, rispetto alle sue forme classiche, sono relativi alla capacità della rete di far circolare in maniera riservata le immagini e i messaggi di testo. E’ ipotizzabile che alcuni individui affetti da tale parafilia abbiano avuto l’opportunità, con internet, di “sperimentare” la loro perversione, fino a quel momento vissuta a livello intrapsichico. La rete consente ad esempio al pedofilo una maggior facilità e riservatezza nella fruizione di materiale pornografico, con il possibile incremento delle fantasie erotiche, l’ingresso in circuiti di soggetti omogenei (altri pedofili) con il conseguente apprendimento o rinforzo di fantasie, tecniche, opportunità e l’accesso a forme di turismo sessuale [12].
Dunque stretta è la connessione tra la pedofilia e detenzione di materiale pornografico, da ciò discenderebbero sfaccettate tipologie di cyberpedofili: il closet collector (il collezionista armadio) il quale tiene la collezione pedo-pornografica segreta e non è direttamente coinvolto in abusi sui minori; l’isolated collector (il collezionista isolato) che oltre a collezionare pornografia minorile è coinvolto nell’abuso sui minori (la collezione comprende sia materiale proprio che comprato); il cottage collector, che divide la sua collezione e le sue attività sessuali con altri ma non è interessato a trarne profitto ed infine il commercial collector (il collezionista commerciale) che produce, copia e vende materiale ed è inoltre coinvolto nello sfruttamento minorile [13]. Internet è sicuramente un potente mezzo di comunicazione che se da un lato può migliorare la qualità della vita, dall’altra espone i piccoli utenti ad alcuni rischi che non possono e non devono essere sottovalutati. Intanto, l’anonimato che la rete è in grado di fornire può favorire soggetti con pedofilia che spacciandosi per coetanei dei “piccoli”, possono ottenere foto, raccogliere informazioni e, a volte, organizzare incontri con le potenziali vittime [14]. Tra i tanti canali di comunicazione spiccano quelli rappresentati dalle chat-room, dal software di tipo p2p o dagli altri “luoghi telematici” in cui è possibile non solo inviare e ricevere materiale pedo-pornografico, ma anche tentare di adescare le future giovani vittime [15]. Vittime rappresentate da bimbi lasciati dai genitori, per ore, da soli davanti al computer (che sostituisce la c.d. “cattiva baby-sitter” rappresentata dalla televisione), i quali, specialmente nell’età adolescenziale, incuriositi dal tabù chiamato sesso, utilizzano internet per conoscere e sperimentare quelli che rappresentano i loro primi ed accesi stimoli sessuali. In questo contesto e tramite linguaggio convenzionale, i pedofili, che nella realtà sono inibiti dall’opinione pubblica e spaventati dalle possibili conseguenze dei loro impulsi, trovano terreno fertile, evitando, in tal modo, un confronto diretto con l’interlocutore ponendosi, al contrario, in una sorta di rapporto alla pari. Ed in effetti, svariati autori affermano che il pedofilo nella relazione con i bambini cerca se stesso [16], portando sino all’esasperazione quella sorta di immaturità sessuale che lo dilania e lo caratterizza. Il poter usufruire di una sessualità anche solo virtuale; l’esistenza di un mercato così vasto; la facilità della diffusione e condivisione del proprio pensiero con altre “menti uguali”, potrebbe ingerire nel pedofilo la convinzione della normalità del suo status nonché portare ad una sorta di tacita accettazione della pratica della pedofilia. Panzè afferma che il rischio è la caduta delle barriere mentali e psicologiche, facilitando il passaggio dal pensato all’agito [17]. Non siamo di fronte ad un fenomeno nuovo, perché da sempre culture e subculture, in tempi e spazi diversi, hanno messo in atto comportamenti abusanti nei confronti dei minori. Demonizzato, ignorato e negato fino a circa 40 anni fa, oggi il fenomeno è visto, divenendo oggetto di attenzione non solo da parte della letteratura scientifica ma anche dell’opinione pubblica. Attualmente il fenomeno è osservato e studiato in tutte le sue sfaccettature, perché il problema non si esaurisce in una sola definizione [18].
Il nostro legislatore, attento a questo dilagare di abusi, da sempre ha proteso a tutelare i minori attraverso svariati meccanismi giuridici. La tanto discussa, in quanto lacunosa, legge del 3 agosto 1998, n. 269, è stata modificata dalla Legge del 6 febbraio 2006, n. 38, intitolata “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet”. Quest’ultima ha come obiettivo l’ampliamento della nozione di pornografia infantile e del suo ambito; l’estensione della protezione accordata al minore sino al compimento del diciottesimo anno di età; l’interdizione perpetua dell’attività nelle scuole e negli uffici o servizi in istituzioni o strutture prevalentemente frequentate da minori per le persone condannate per questo tipo di reati e l’esclusione del patteggiamento per i reati di sfruttamento sessuale; l’individuazione degli elementi costitutivi del reato di sfruttamento sessuale di minori, comuni a tutti gli Stati dell’Unione; la promozione di iniziative finalizzate ad impedire la diffusione e la commercializzazione dei prodotti pedopornografici via internet.
Nello specifico per la pornografia minorile: un reato che, come scrisse Leo Stilo, oscilla tra cessazione e divulgazione (diffusione) [19], troviamo che nel primo comma dell’art. 600-ter c.p., intitolato pornografia minorile, il legislatore ha inteso punire con la pena della reclusione da sei a dodici anni nonché con la multa da euro 25.822 a euro 258.228, chiunque utilizzando minori degli anni diciotto realizzi esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico. Mentre per la realizzazione di esibizioni pornografiche sembra che il legislatore abbia voluto punire qualsiasi tipo di “spettacolo” tenuto dal minore dal vivo, oppure in videoconferenza mediante l’uso di web-cam di fronte ad un pubblico reale oppure telematico; per la produzione di materiale pornografico, invece, si intende la trasposizione di detto materiale su supporti di vario genere, dunque anche digitale, come ad esempio fotografie, videocassette, videotape. Alla medesima pena soggiace chi fa commercio di materiale pornografico. Il terzo comma dell’art. 600-ter c.p. punisce con pene più lievi (da uno a cinque anni) chi con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza materiale pornografico o comunque notizie finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale dei minori. Il richiamo da parte del legislatore alla via telematica, dopo essersi riferito alla realizzazione di tale reato “con qualsiasi mezzo” potrebbe sembrare ridondante ed inutile, invece serve per rimarcare l’intenzione di perseguire un fenomeno con crescita esponenziale rappresentato da siti dedicati alla pedofilia o che i pedofili utilizzano per diffondere i loro messaggi in maniera da adescare bambini, specialmente attraverso chat-line e newsgroup. Importante in merito sono alcune sentenze della Corte di Cassazione, la quale ha stabilito che affinché vi sia divulgazione o distribuzione (e dunque diffusione aggiungerei) ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 600-ter occorre che l’agente inserisca le foto pornografiche minorili in un sito accessibile a tutti, al di fuori di un dialogo “privilegiato” o le invii ad un gruppo o lista di discussione, da chiunque le possa scaricare, o le invii ad indirizzi di persone determinate ma in successione, realizzando cioè una serie di conversazioni private e, quindi, di cessioni con diverse persone [20]. Quindi, quando la cessione avviene attraverso un canale di discussione (chat-line), è necessario verificare se il programma consenta, a chiunque si colleghi, la condivisione di cartelle, archivi e documenti contenenti le foto pornografiche minorili in modo che chiunque possa accedervi e, senza svelare una volontà specifica e positiva, prelevare direttamente le foto [21]. Naturalmente anche la vendita di prestazioni sessuali attraverso internet dietro corrispettivo assume il valore di atto di prostituzione e, dunque, il configurarsi del reato di sfruttamento della prostituzione nei confronti di coloro i quali abbiano reclutato gli esecutori delle prestazioni o ne abbiano consentito lo svolgimento, creando i necessari collegamenti via internet, o ne abbiano tratto un guadagno [22]. Il mancato inserimento nel nuovo terzo comma dell’ art. 600-ter del termine “consapevolmente” proposto, tra l’altro, dal Senatore dei Verdi Stefano Semenzano con il disegno di legge n. 3733, ha fatto sì che i dubbi in merito alla eventuale responsabilità dei providers, circa la distribuzione, divulgazione, diffusione e pubblicazione, rimanessero inalterati. Ed in effetti ancora oggi non si capisce se responsabili delle condotte previste al terzo comma dell’art. 600-ter siano esclusivamente gli autori materiali dell’immissione in rete dei dati illeciti oppure anche i fornitori di accessi, appunto gli access provider, i quali consentono all’utente l’accesso alla rete internet e mettono a disposizione i server dove vengono scambiati i messaggi e quindi anche gli eventuali messaggi pornografici [23]. In quest’ultimo caso ci troveremmo dinnanzi ad un caso di responsabilità oggettiva nei confronti di quanti, inconsapevolmente, distribuiscono materiale pornografico. E’auspicabile, invece, arrivare a soluzioni che portino alla loro punibilità solo nei casi in cui la loro partecipazione risulti certa e non solamente ipotetica.
Continuando l’analisi degli artt. del codice penale, ritroviamo l’art. 600-quater il quale punisce non solo chi consapevolmente si procura ma anche chi, consapevolmente, detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto. Da ciò discende che la linea di confine tra l’inserimento di una data condotta criminosa nell’art. 600-ter invece che nell’art. 600-quater è da ricercare nel numero indeterminato o meno di persone a cui il materiale pornografico è destinato. Il problema sorge nelle zone di confine, quando il materiale, ad esempio, è inviato attraverso gruppi di discussione, chat, o software p2p [24], in tal caso bisogna verificare se lo strumento utilizzato consenta la cessione di detto materiale nei confronti di soggetti determinati oppure nei confronti di un numero imprecisato di persone.
Una novità apportata dalla nuova normativa è costituita dall’art. 600-quater I, intitolato “Pornografia virtuale”. Il legislatore, conscio della potenzialità devastanti che le immagini virtuali di bambini inesistenti possono apportare nella mente sessualmente deviata dei pedofili, nonché la possibilità di adescare i minori facendogli credere che i bambini (non reali) praticano delle azioni “normali” che anche loro dovrebbero praticare, ha inteso punire anche chi, incorrendo nei comportamenti analizzati negli att. 600-ter e 600-quater, utilizza materiale pornografico ove i soggetti non sono in carne ed ossa ma sono delle immagini virtuali aventi fattezze di minori degli anni diciotto [25]. Dunque la mera creazione virtuale (tramite l’utilizzo di software come maya ed aiutati da photo-shop) di minori in posa ambigua ed equivocabile, farebbe soggiacere il creatore e/o il diffusore dell’opera alle stesse pene di chi utilizzando realmente dei minori degli anni diciotto, realizzi esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico. Se la finalità della norma è quella di tutelare il minore in tutte le sue sfaccettature, è pur vero che in questa maniera si verrebbe a punire anche la pura intenzione e, come sappiamo, nel nostro ordinamento il reato di intenzione non esiste. E’ vero che l’inesistenza reale delle “vittime” non fa scemare il comportamento deplorevole portato avanti dal cyberpedofilo, il quale con qualche programma per elaboratore potrebbe dar vita ad una miriade di personaggi con fattezze di minori e posizionarli nelle pose che alla sua mente, oppure alle sue pulsioni, piacciono di più, ma sarebbe giusto che il legislatore adottasse un sistema sanzionatorio rapportato alla gravità della realtà fattuale.
Anche se con questa falla, la norma ci fa sperare nel fatto che finalmente il legislatore abbia inteso, anche se in maniera ancora troppo sporadica, alzarsi ogni tanto dalla poltrona per sedersi innanzi ad un computer e navigare in rete per cercare di capire come la realtà si stia muovendo ed evolvendo.

 

BIBLIOGRAFIA
[1] Valeriani F., 1999, prefazione a “La mente in Internet”, di T. Cantelmi, A. D’Andrea, C. Del Miglio, M. Talli, Piccin, pag. VII.
[2] Sarzana di S. Ippolito C., “Informatica, internet e diritto penale”, in particolare il capitolo XII “Criminalità organizzata e computers”.
[3] Giordano, G., 1999, “Il rapporto tra pedofilia e Internet alla luce di una Epistemologia della Complessità” in Calmieri, B., Frighi L., (a cura di), La problematica attuale delle condotte pedofile, Roma, Edizioni Universitarie Romane.
[4] Strano M., 1999, “Bambini virtuali su Internet”, Byte Italia, Aprile, 80-84.
[5] Pomante, 1999, “Internet e Criminalità” Torino, 226.
[6] Fusaro, N., 1999, “Internet e la legge in tema di pedofilia” in Calmieri, B., Frighi L., (a cura di), La problematica attuale pedofile, Roma, Edizioni Universitarie Romane.
[7] Strano M., 1998, “Pedofilia e pornografia su internet: quali rischi per i minori”, Byte Italia, Ottobre.
[8] Pazè, P., 1998, “Lo sfruttamento sessuale del bambino come nuova forma di riduzione in schiavitù”, Minorigiustizia.
[9] Dickey, R., Nussbaum, D., Chevolleau, K., Davison, H., 2002, “Age as a differential characteristic of rapists, paedophiles, and sexual sadists”, J. Sex Marital Ther., 28 (3). 211-8.
[10] Puccini C., 1999 “Istituzioni di medicina legale”, Casa Editrice Ambrosiana, 316-317.
[11] Von Krafft- Ebing, R., 1964, “Psicopatia sessuale”, Edizioni Mediterranee, Roma.
[12] Strano M., “Manuale di Criminologia Clinica”, See Edizioni, Firenze, 2003;
[13] Strano M., Gotti V., Germani P., Quadrello D., Bruzzi R., 2001, “La pedofilia e internet”.
[14] Bonifazi – Macrì, 2002, “Pedofilia: aspetti clinici e psicosociali”, in AA.VV., Proposte di criminologia applicate, (a cura di Carlo Serra), Milano, 284.
[15] Strano M., Nuove tecnologie e nuove forme criminali (intervento al Cybercrime International Conference, Palermo 3/5 ottobre 2002), in Polizia di Stato.
[16] Fenichel, O., 1951, “Trattato di psicoanalisi delle nevrosi e delle psicosi”, Astrolabio, Roma.
[17] Panzè, P., 1998, “Lo sfruttamento sessuale del bambino come nuova forma di riduzione in schiavitù”, Minorigiustizia.
[18] Bonifazi – Macrì, 2002, “Pedofilia: aspetti clinici e psicosociali”, in AA.VV., Proposte di criminologia applicate, (a cura di Carlo Serra), Milano, 268.
[19] Stilo L., 2003, “Pornografia Minorile e chat: un reato che oscilla tra “cessione e divulgazione”, in Diritto della Gestione Digitale delle Informazioni (suppl. della Rivista “Il Nuovo diritto”, n. 6, 2003).
[20] Corte di Cassazione, sentenza 12 novembre 2003, n. 43135.
[21] Corte di Cassazione, sez. V penale, sentenza 03 febbraio 2003, n. 4900.
[22] Corta di Cassazione, sentenza 8 giugno 2004, n. 25464.
[23] Zencovich, Z., 1998, Atti del convegno di Pedofilia e Internet, Roma, 27 Ottobre 1998.
[24] Stilo, L., 2003, “Pornografia minorile e internet: lotta alla criminalità e non caccia alle streghe”, in Diritto della gestione digitale delle informazioni (suppl. della Rivista “Il Nuovo diritto” n. 6, 2003).
[25] Art. 600-quater. I. (Pornografia virtuale). “Le disposizioni di cui agli articoli 600-ter e 600-quater si applicano anche quando il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse, ma la pena è diminuita di un terzo. Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali”.

This Post Has 1 Comment

  1. Cristian says:

    I migliori software che ho usato sono gran parte opensource e consentono all amministratore del sistema di mettere una password per evitare che l utente modifichi le impostazioni rendendo vano la limitazione , nei casi piu drastici si puo sempre optare per un firewall hardware e blocca alcuni tipi di pagine , ma niente e8 meglio di genitori preparati che accompagnano i loro figli in rete@Sandrohai ragione che i genitori devo fare i genitori ma dimentichi che molti di loro come detto non hanno nemmeno idea di come funzioni il pc percui figuriamoci se sanno come si usano internet ! Io sono stato bambino e ora sono un bambinone ( hahahahahahah ) ma mi ricordo che se non facevo quello che mi dicevano i miei me lo facevano capire o con le buone o con le cattive e lo capivo anche se sinceramente quelli erano altri tempi visto che quando ero piccolo io non c era la moda di internet !!

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